Esistono un mondo prima e un mondo dopo la crisi pandemica del Coronavirus COVID-19. Per le nostre generazioni, che non hanno vissuto la guerra in prima persona, questa crisi è un punto di svolta senza precedenti. Non è solo una crisi epidemiologica e sanitaria, ma anche, e forse soprattutto, una crisi economica e sociale, che ha drammaticamente messo in evidenza le vulnerabilità della struttura socioeconomica su cui si fonda la nostra società. Molti dicono che ci vorrà tempo prima di tornare a una vita normale, a una vita “come prima”. Ma è davvero questo quello che vogliamo? Oppure si può utilizzare questo punto di svolta, questa ripartenza, per costruire un mondo migliore?
Già nel 1912 il triestino Giacomo CIamician aveva raccontato al mondo che “ … se alla civiltà del carbone, nera e nervosa dell’epoca nostra dovesse far seguito una civiltà più tranquilla basata sull’uso dell’energia solare non sarebbe male per il progresso e la felicità umana”. Più recentemente nel 2009 John Beddington aveva predetto per il 2030 la tempesta perfetta di eventi globali dovuta alla scarsità di acqua, cibo ed energia, mescolati a un livello di inquinamento insostenibile.
Il pianeta è ancora attanagliato dalla crisi pandemica, con miliardi di persone chiuse in casa, e con attività di ogni tipo ancora ferme. Stiamo attraversando una delle crisi economiche più gravi e dirompenti della storia, che probabilmente avrà ripercussioni drammatiche sulla vita di molti per anni a venire. Però si comincia a intravedere la cosiddetta “luce alla fine del tunnel”, almeno nei Paesi che hanno avuto il coraggio, la tenacia e la coscienza civile di seguire, spesso con enormi sacrifici, le indicazioni della comunità scientifica sull’unica arma che oggi abbiamo per combattere il virus, e cioè il distanziamento sociale. Uno di questi Paesi, uno dei primi e dei più coraggiosi, infatti, è l’Italia. Cominciamo a parlare di ripartenza, di quante centinaia, forse migliaia, di miliardi saranno necessari a far ripartire l’economia. Ma come saranno spesi questi miliardi? Rifaremo gli stessi errori che sono stati alla base della crisi in atto, o quantomeno dei danni provocati da questa crisi?
In queste settimane abbiamo praticamente solo sentito parlare di Coronavirus, e questo è sicuramente legittimo e importante. Però non dobbiamo dimenticare che ci sono altre crisi, con ogni probabilità ben peggiori, che ci aspettano dietro l’angolo se qualcosa non cambierà. La crisi dei cambiamenti climatici: il 2019 dopo il 2016 è stato il secondo anno più caldo da quando si prendono misure su scala globale, mentre durante gli ultimi mesi abbiamo assistito a eventi climatici di entità inaudita, come le ondate di calore che hanno alimentato i devastanti incendi in Australia o lo scioglimento senza precedenti dei ghiacci della Groenlandia. Anche in Italia, l’alluvione di Venezia dello scorso anno (perché’ chiamarla acqua alta è certamente un eufemismo) o la tempesta Vaia, che ha distrutto intere foreste delle Dolomiti. E poi la crisi dell’inquinamento atmosferico, che secondo studi recenti causa nel mondo da 5 a 7 milioni di morti premature all’anno (più di 40.000 in Italia), diminuendo la nostra aspettativa di vita di 2-3 anni; il degrado del suolo e la perdita di fertilità; la scarsezza di acqua a causa di siccità più frequenti e dello scioglimento dei ghiacciai; l’inquinamento degli oceani, in primis a causa delle plastiche; la perdita di biodiversità, che per molti è uno dei veicoli che facilita lo svilupparsi di epidemie come quella del COVID-9; l’urbanizzazione selvaggia e il degrado delle megalopoli urbane. E questa lista di eventi estremi potrebbe continuare, a lungo . Tutte queste crisi però, in ultima analisi, sono figlie di un unico problema: lo sfruttamento indiscriminato, eccessivo ed iniquo delle risorse limitate del pianeta.
La crisi COVID-19 ci offre l’occasione di cambiare rotta, un’occasione storica che non dobbiamo perdere, anche perché’ le soluzioni sono già qui, alla nostra portata. Facciamo alcuni esempi. L’energia: oggi circa l’80% dell’energia che utilizziamo è derivata dall’uso di combustibili fossili, uso che porta all’emissione di gas serra e di particolato atmosferico che modificano il clima globale e inquinano aria e acqua. Cosa ancora peggiore, sprechiamo circa il 60% dell’energia prodotta. Ma già oggi sappiamo di avere le tecnologie per produrre la maggior parte del nostro fabbisogno energetico da fonti rinnovabili, come il solare, l’eolico, l’idroelettrico e il geotermico, e per ridurre gli sprechi tramite politiche di elettrificazione delle attività produttive e di maggiore efficienza energetica. Quindi sarebbe solamente logico spendere quei miliardi per incentivare le energie rinnovabili, l’uso di auto elettriche e di una mobilità più sostenibile, cosa che non solo aiuta l’ambiente ma anche l’economia (i costi per la produzione di energia elettrica rinnovabile che sono oggi pari a quelli delle fonti fossili, saranno nel brevissimo ben inferiori a quest’ultimi). e l’occupazione. Questa direzione, incidentalmente, renderebbe l’Italia indipendente dal punto di vista energetico.
Altro esempio: economia circolare e a chilometro 0. È sorprendente che a due mesi dall’inizio della pandemia non siano ancora disponibili mascherine per tutti, perché’ non riusciamo a produrle e dobbiamo importarle dalla Cina o dalla Russia, come tanti altri beni che potrebbero facilmente essere prodotti qui da noi, anche se magari con un minore profitto. Con quei miliardi valorizziamo le nostre risorse e le nostre eccellenze, come l’artigianato, l’agricoltura, l’enogastronomia di pregio, le inestimabili bellezze paesaggistiche e culturali; l’offerta turistica; i nostri marchi conosciuti in tutto il mondo (come la moda, o la Ferrari). E con quei miliardi incentiviamo lo sviluppo dell’alta tecnologia e della economia digitale, che sono la via del futuro.
Queste sono tutte azioni che non richiedono una rivoluzione tecnologica, ma una rivoluzione culturale, incentrata non sul PIL, ma sulla qualità della vita. Questa rivoluzione culturale però ha bisogno di alcune basi come l’educazione e la ricerca. Oggi capiamo quanto la scienza e la cultura siano importanti per salvaguardare la società, eppure l’Italia è uno dei Paesi che spende meno fra quelli industrializzati per educazione, ricerca e sviluppo, anzi questi sono tradizionalmente fra i primi settori a essere tagliati nei casi di riduzione di disponibilità finanziarie. E poi la riduzione delle disparità socioeconomiche e dell’accentramento delle ricchezze. Oggi circa il 50% della ricchezza globale è detenuto dall’ 1% della popolazione, qualcosa di assolutamente innaturale, perché’ dal punto di vista ecosistemico la natura stessa ci insegna che l’accentramento eccessivo delle risorse insieme a una estesa povertà, e quindi debolezza, aumenta la vulnerabilità di un sistema e la sua capacità di reagire alle crisi. In un sistema naturale la condivisione delle risorse è una forza determinante. E infine la cooperazione internazionale. La crisi del Coronavirus ci sta insegnando che, in un mondo ormai globalizzato, se tutti i Paesi non si coordinano nella risposta a una crisi, non se ne esce fuori facilmente. Non basta che sia l’Italia ad adottare delle determinate politiche se ciò non viene fatto anche dagli altri Paesi, europei o di altri continenti. Non serve erigere muri o chiudere confini, anzi bisogna agire in maniera condivisa. E ovviamente a nulla servono gli accordi internazionali e le direttive se non c’è l’impegno del singolo cittadino a rispettarle, proprio come nel caso dei cambiamenti climatici.
In questo aprile del 2020 lo stato dell’ambiente non è mai stato così positivo, immagini satellitari ci mostrano come l’inquinamento sia stato abbattuto; dalle pianure dell’India si vede l’Himalaya; le acque dei canali di Venezia e di tutte le coste sono limpide e ricche di pesci, l’inquinamento acustico e ottico sono diminuiti. Eppure la società sembra in frantumi. Questo paradosso deriva dal fatto che la nostra società si è completamente disconnessa dall’ambiente in cui vive, anzi in Italia spesso si esprime l’assurda opinione che l’ambiente si opponga al benessere e al “progresso”. Potremmo magari chiederlo a quei bambini che hanno solo ambienti degradati e inquinati in cui giocare.
E allora noi chiediamo che quelle centinaia di miliardi non siano spesi per tornare a come le cose erano prima, ma per costruire un’Italia e un mondo migliore, più equo, più resiliente, più solidale verso tutti, e più in sintonia con il pianeta che è la nostra casa. Chiediamo che quei miliardi vengano spesi ascoltando le richieste di milioni di ragazzi, di nostri figli, che come i Fridays for Future, ormai da tempo reclamano il diritto a un futuro migliore, perché ricordiamo che questo è il loro secolo e che questo è il loro pianeta. Uno degli elementi che hanno prodotto la crisi COVID-19 è stata l’impreparazione del sistema socioeconomico e sanitario ad affrontarla, perché’ non la conoscevamo. Ma la scienza conosce molto sulle crisi ambientali a cui andiamo incontro, come l’emergenza dei cambiamenti climatici, ed è da tempo che manda i suoi avvertimenti. Sarà doveroso e necessario porre maggiore enfasi sulla prevenzione e preparazione di crisi ambientali, ivi incluse anche possibili nuove pandemie, dovute agli sconvolgimenti ambientali derivanti dal riscaldamento globale e da altre pressioni sull’ambiente. Queste crisi non possono essere affrontate con l’impreparazione con cui è stata affrontata l’attuale pandemia. Pensiamoci finché siamo in tempo e agiamo subito.
Articolo pubblicato sul quotidiano il Piccolo il 21 aprile 2020
Filippo Giorgi, Climatologo Premio Nobel per la pace 2007 come membro dell’IPCC
Maurizio Fermeglia, Università di Trieste
Alessandro Massi Pavan, Università di Trieste